Per quanto rallentata dall'epidemia Covid-19 non si ferma l'offensiva populista in tutta Europa. Sul fronte della mobilità e dei trasporti il nemico principale dei populisti rimangono l'aviazione e chi viaggia.
Due notizie delle ultime settimane danno la misura dello scontro in atto per ora sotto traccia , ma prefigurano una guerra aperta e totale nel momento in cui la pandemia allenterà la sua morsa e lascerà le prime pagine dei giornali.
PUNIRE CHI INQUINA? NO, IL MERCATO E LA CONCORRENZA
Il 10 aprile l'Assemblea nazionale francese ha approvato un disegno di legge per vietare i voli interni su rotte che possono essere coperte dal treno in meno di due ore e mezza. La misura fa parte di una più ampia proposta di legge sul clima che mira a ridurre le emissioni francesi del 40 per cento nel 2030 rispetto ai livelli del 1990, la trovate qui - articolo 36 comma 4. Da Parigi non si potrà più volare verso Lione, Bordeaux e Nantes, giusto per fare tre esempi. Preso così, il provvedimento rischia di fare danni alla cieca, comprimendo ulteriormente il settore già provato a dismisura dall'emergenza sanitaria. Tra l'altro è sorprendente per un Paese che detiene l'11,1 per cento di Airbus (attraverso la holding SOGEPA), il principale costruttore di aerei al mondo, con base operativa a Tolosa. Fa meno impressione se vista da un altro punto di vista. Il progetto di legge salva i voli in connessione, cioè quei collegamenti effettuati in coincidenza di altri voli, in arrivo e in partenza, in genere internazionali e intercontinentali. Chi ha il proprio hub a Parigi e connette ogni angolo di Francia con voli feeder, cioè di alimentazione? Il voto è arrivato pochi giorni dopo la decisione di ricapitalizzare con 4 miliardi di euro la compagnia di bandiera Air France, raddoppiando così la quota azionaria dello Stato nella società condivisa con KLM e i Paesi Bassi che passerà dal 14 al 30 per cento. La tentazione di piazzare una leggina per salvaguardare Air France e spiazzare la concorrenza deve essere stata irresistibile per il legislatore francese. Infatti non ha resistito e le conseguenze le pagheranno Ryanair, easyJet e qualsiasi altro vettore che vola da punto a punto, cioè da una città all'altra, senza lo scalo hub e il modello di connettività estesa. Oltre naturalmente ai consumatori che probabilmente dovranno fare i conti con tariffe aeree e ferroviarie più alte.
PUNIRE CHI VIAGGIA
Nel Regno Unito la campagna contro il cambiamento climatico 'Possible', ha riesumato a fine marzo un rapporto basato su dati raccolti tra il 2012 e il 2016 per dimostrare che una minoranza di privilegiati usa troppo spesso l'aereo ed è necessario quindi introdurre una tassa sui Frequent Flyers. Il documento si basa, tra l'altro, su dati raccolti nel 2015 attraverso delle interviste a un campione di cittadini britannici da cui emerge che solo un 15 per cento di privilegiati fa voli internazionali, mentre il 57 per cento della popolazione non varca mai i confini del Regno. Il tema è tornato alla ribalta quando il governo britannico ha avviato una revisione del sistema di tasse per l'aviazione. Secondo gli autori del rapporto il metodo migliore per ricomporre le diseguaglianze sta nella riduzione delle libertà dei più facoltosi, perché inquinano è la motivazione ufficiale. Estendere le libertà e le opportunità a tutte le persone non è un'opzione. Greenpeace è sulla medesima lunghezza d'onda e chiede da tempo l'annullamento dei programmi di fedeltà delle compagnie aeree, perché invogliano a volare. Sono davvero curioso di capire come sia possibile stabilire dei criteri per tassare chi viaggia molto. Cosa vuol dire molto? Tre volte l'anno, dieci, venti? Io che per lavoro negli anni normali, prima della pandemia, arrivavo a fare 50 voli dovrei essere super tassato, ma quella diventa allora una gabella sul lavoro e sono tutto tranne che benestante. Ancora, come lo controlliamo il numero di voli? Facciamo un bel database nazionale o europeo in cui registriamo ogni singolo check-in da parte di donne, uomini e bambini? Come la mettiamo con la privacy?
Lungi dal proporre soluzioni inclusive, di 'apertura' e riluttanti a incoraggiare lo sviluppo di nuove tecnologie per l'utilizzo di metodi di propulsione a basso impatto ambientale come l'idrogeno - a proposito, il programma Zero Emissioni avviato da Airbus al riguardo è il più ambizioso, il più finanziato e il più promettente finora - le pressioni dei populisti mirano a ridurre gli ambiti di libertà delle persone, delle imprese e delle organizzazioni. Chi viaggia inquina, è il mantra di associazioni come Greenpeace, quindi i governi devono penalizzare queste persone aumentando le tasse a loro carico e, ovunque possibile, ridurre le opportunità di movimento. Una posizione coerente con il conservatorismo intrinseco dei movimenti populisti e sovranisti: da un lato predicano per un mondo chiuso, in cui gli scambi di persone, merci e idee siano ridotti al minimo; dall'altro promuovono rancore e invidia sociale nei confronti di quanti si ostinano a sfruttare libertà di movimento, a far circolare beni e servizi nella convinzione che gli scambi oltre ad accrescere il benessere collettivo alimentano l'innovazione e contribuiscono al riconoscimento delle culture e della diversità.
Il valore simbolico dell'aviazione palesa più che in altri settori lo scontro tra due visioni del mondo, quella conservatrice e sovranista e quella progressista e favorevole alla globalizzazione. Come sostengono numerosi accademici che studiano i fenomeni migratori, a viaggiare e a spostarsi sono state nella storia prevalentemente le classi agiate. Il trasporto aereo ha permesso di comprimere i tempi di trasferimento e di accorciare le distanze del nostro pianeta in maniera formidabile. Ne hanno approfittato per primi gli imprenditori, i manager delle grandi aziende, i divi dello spettacolo, i campioni dello sport e chiunque avesse sufficiente capienza per potersi permettere di entrare nel 'jet-set'. Nei tre decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale quelle erano pressoché le uniche categorie a palesarsi davanti la scaletta di un aereo. Poi sono intervenute tre innovazioni: una tecnica, una economica e una politica. Alla fine degli anni Sessanta la Pan Am scommette su un nuovo tipo di aereo, il Boeing 747 il cui concetto è il raddoppio della capienza e quindi una maggiore efficienza operativa dei velivoli. La compagnia statunitense dimostrò che a costi di poco maggiori era possibile trasportare un numero di passeggeri di gran lunga superiore in confronto agli aerei commerciali esistenti. La prima conseguenza fu il calo netto delle tariffe aeree e l'abbassamento della soglia di accesso al trasporto aereo diventata in poco tempo un'opzione realistica per le classi medie. Pan Am di fato aveva democratizzato il volo. La seconda innovazione è anch'essa attribuibile all'impresa privata e viene messa a punto negli Stati Uniti. All'inizio degli anni Settanta una nuova compagnia aerea, la Southwest studia e applica un nuovo modello di business per il trasporto aereo, definito LCC, Low Cost Carrier caratterizzato tra l'altro da tariffe basse, collegamenti punto a punto e classe unica di viaggio. Dove applicato, le tariffe aeree scendono ancora e aprono il mercato dei voli alle classi popolari. La terza innovazione è intervenuta su entrambe le sponde dell'Atlantico tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Novanta e prende il nome di deregolamentazione. In pratica, nello spazio aereo definito, Nord America o Europa, qualsiasi compagnia aerea a partire da una certa data ha potuto organizzare servizi di trasporto e collegamenti come meglio le aggradava. In Europa lo spazio aereo è stato liberalizzato quasi trent'anni fa e se oggi ci sono famiglie con ricavi sotto la media nazionale che si possono permettere le vacanze in Grecia o il weekend a Bilbao perché il volo incide pochissimo sul costo complessivo del viaggio lo si deve essenzialmente alla decisione politica di aprire i cieli europei alla concorrenza. Una scelta che ha aumentato a dismisura la domanda, il numero di passeggeri è quasi triplicato a livello europeo, passando da 370 milioni nel 1994 a 1,2 miliardi nel 2019 ed è il motivo per cui il trasporto aereo rappresenta il 4,4 per cento del prodotto interno europeo e 13,5 milioni di famiglie hanno un lavoro direttamente o indirettamente dipendente dalle fortune del settore. Scagliarsi in maniera manichea contro il trasporto aereo auspicandone la fine implica un impoverimento significativo per tutti e la disoccupazione permanente per alcuni.
In questa posizione assolutista si riconoscono anche i segni del crescente scetticismo nei confronti della scienza. Invece di estendere le libertà acquisite a una platea ancora maggiore di persone e sollecitare maggiori investimenti per la decarbonizzazione del settore, la strada indicata dai movimenti ambientalisti radicali è una forma di luddismo del ventunesimo secolo dove la risposta alle minacce del cambiamento climatico è rinchiudere in casa 7 miliardi di persone, magari alienandole davanti a uno schermo, invece di promuovere lo studio e la ricerca di nuove modalità di trasporto via via sempre più sostenibili dal punto di vista economico e ambientale.
Con oltre 190 milioni di europei (il 37 per cento) che secondo le stime di Eurobarometro non hanno mai attraversato una frontiera, la politica continentale dovrebbe stimolare la mobilità delle persone, non ultimo per rinvigorire l'ammaccata identità collettiva europea, non viceversa assecondare richieste irrazionali di ridisegnare il mondo secondo canoni antecedenti la prima rivoluzione industriale. Per seguire lo stesso parametro, poiché non tutti i cittadini e le cittadine sono laureati, dovremmo chiudere le università invece che renderle più accessibili. Purtroppo è quello che sta avvenendo, sempre in Francia dove il presidente Macron ha deciso di piegarsi alla demagogia imperante e di chiudere l'École Nationale d’Administration, la principale fucina della classe dirigente francese, perché troppo elitaria. Non resta che attendere per veder dirigere Air France dal primo sconosciuto incrociato dal salumiere.
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