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  • Caterina Ristori

Cancellazioni, conoscere il motivo non è un diritto

Aggiornamento: 1 apr 2021


La trasparenza nei confronti dei viaggiatori, spesso, non è prevista dai regolamenti. E anche quando invece lo è, i passeggeri non lo sanno. Corte dei Conti europea: “Commissione Ue si impegni a rendere noti ai cittadini i propri diritti”.


Il presente articolo è stato scritto originariamente per la testata Eunews.it


Se il tuo volo è cancellato non sei tenuto a saperne il motivo. Non rientra tra i tuoi diritti. O meglio, le regole vigenti non obbligano le compagnie aeree (ma neanche, ad esempio, quelle ferroviarie) a riportare le cause delle interruzioni di viaggio.

In questo caso si può fare poco: le informazioni non sono disponibili pubblicamente e, al momento, non è obbligatorio che lo siano. Purtroppo però esistono diritti dei passeggeri che vengono violati sistematicamente, pur essendo regolamentati.


Nel report Eu passenger rights are comprehensive but passengers still need to fight for them, pubblicato dalla Corte dei Conti europea, è raccontata ad esempio l’esperienza di una passeggera. I voli dall’aeroporto di Danzica, compreso il suo, avevano subito ritardi a causa del maltempo. Così come altre persone, ha presentato un reclamo alla compagnia aerea. La cosa incredibile è che, nonostante il disagio fosse lo stesso per tutti i passeggeri (il volo era lo stesso), solo alcune tra le persone hanno ricevuto un risarcimento. Perché?


La Corte dei Conti, rivolgendosi alle compagnie aeree, ha chiesto quale sia la mole dei reclami da loro ricevuti e quanti di essi effettivamente trovano accoglimento. Con scarsi risultati: molti vettori, in effetti, non sono stati disposti a fornire i propri dati. E i dati raccolti dagli altri non sono utili a far chiarezza.


“È emerso che spesso è più facile essere rimborsati per i viaggiatori che non risiedono nel paese in cui avviene il disservizio”, ha affermato Erki Must, uno degli autori del report, sottolineando che “le compagnie tendono ad evitare l’insorgere di contenziosi con altri paesi”. Insomma, se ti capita che il tuo volo ritardi in in Italia e sei italiano, hai meno probabilità di essere rimborsato. Capita. Fatto sta che si tratta comunque di trattamento iniquo.

Il problema principale, in ogni caso, è che solo un terzo dei passeggeri richiede di far valere i propri diritti. In alcuni casi (il 16,4 percento) le persone non sanno come fare, mentre più spesso sono convinte che le loro richieste non saranno accolte. A pensarlo è ben il 41,7 percento dei passeggeri.

“Quello che raccomandiamo, in effetti, è di fare sempre espressa richiesta di compensazione in caso di disservizio”, precisa Must, “non si deve sperare in una procedura automatica di rimborso”. E in effetti la Corte dei Conti chiede alla Commissione europea di operare un cambio sistematico nelle procedure attualmente in vigore: ad esempio, obbligando le compagnie ad attivare automaticamente il pagamento del risarcimento.

Risarcimento che è previsto da anni e di cui abbiamo già parlato, anche se molti ancora non lo sanno. In caso di ritardo non si otterrà il rimborso del biglietto, ma una forma di compensazione alternativa, basata sulla lunghezza della tratta. I passeggeri, in base al regolamento CE n. 261 del 2004, hanno diritto ad un rimborso pari a 250 euro per le tratte fino a 1.500 chilometri; 400 euro per le tratte tra i 1.500 e i 3.500 chilometri; 600 euro sopra i 3.500 chilometri.

Attualmente però, ben 5 miliardi di euro non vengono reclamati dai passeggeri aerei che ne avrebbero diritto, si legge su AirHelp, società privata che si occupa di assistenza ai passeggeri nel caso di disservizi aerei.


“La Commissione Ue dovrebbe impegnarsi nella promozione di campagne per rendere più consapevoli i cittadini europei in merito ai propri diritti, informandoli su come farli valere”, aggiunge Must. Diritti tra cui rientra la possibilità di fare chiamate, mandare e-mail o fax, chiedere pasti e bevande e pernottare gratuitamente vicino all’aeroporto in caso di permanenza prolungata in aeroporto. Alle compagnie non conviene rendere note queste informazioni. Ecco perché è necessario obbligarle alla trasparenza tramite una normativa più stringente, conclude Must.


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